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mercoledì 24 giugno 2015

Identificare il nemico per un pensiero ribelle - verso un nuovo comunitarismo





RIBELLI !

Lo scopo di questo intervento è quello di contribuire ad animare un pensiero ribelle, in un tempo senz’anima, senza pensiero, senza indignazioni che non siano mero baccano. Animare – e progettare – per essere i primi di domani.

Concretizzare idee nel senso intuito da Drieu La Rochelle (intellettuale è colui che è oggi dove gli altri saranno domani) ed in quello descritto da Karl Marx nell’XI Tesi su Feuerbach: “Finora i filosofi hanno cercato di capire il mondo, ora bisogna cambiarlo!” Capire,  e cambiare. Rovesciare un mondo rovesciato.


“Brutto è il bello, e bello è il brutto“, cantano le streghe di Macbeth, le forze sovrannaturali che spingono all’ambizione, al delitto. Nell’universo Shakespeariano, però, nell’inversione bene-male, vincono la natura, il giusto, il bene. Ritorniamo allora al dualismo bene/male, al “volere il bene”, contro il politeismo dei valori (Weber)  ed il monoteismo del  mercato.

Noi andiamo all’attacco di un tempo in cui tutto è scontato, predefinito, eterodiretto, invertito.
Ribelle è rifiutare quest’aria di ineluttabilità: organizzare una dissidenza per rianimare un pensiero che prenda posizione, “orienti”, ambisca a restituire alla storia la dimensione del reale e ridia forma a ciò che è informe. Opposizione integrale al tempo presente, avanguardia culturale per l’uomo -persona-, opposto all’”homo oeconomicus et consumens” materialista, anonimo componente di un gregge condotto da servi pastori verso un destino zoologico.

Rigettare senza sconti la frusta narrazione liberista, liberale, libertaria, liberaldemocratica: falsa, fuorviante, infettiva.

Pensiero ribelle oggi ostracizzato, etichettato (“labelling”), stigmatizzato, censurato dal Politicamente Corretto, la gabbia di finto velluto in cui si lascia imprigionare il pensiero pigro, il nuovo fariseismo di massa di questa società delle acque basse. Ciò che è da pensare è che oggi non si medita, ciò che è da fare è rianimare l’inerte.

Parlare netto (“sia il vostro parlare sì sì no no“, esorta il Cristo). Rifiutare la riduzione al conforme ed all’identico. (Ri)pensare accogliendo anche segmenti di culture “altre”. Penso, ad esempio ai concetti marxiani di “struttura” e “sovrastruttura “, rivisitati: struttura cupola di economica e finanza/sovrastruttura enti transnazionali, apparato  giuridico.
Ribellarsi al disincanto del mondo, e reincantarlo, perché “poeticamente vive l’uomo” (Hoelderlin). Smascherare un’epoca che vanta la propria imperfezione, ma si considera approdo felice della storia, compimento, non più emendabile, dello stadio adulto della specie umana  realizzata nel “libero“ scambio.

Rigettare il narcisismo come profilo antropologico ed il nichilismo come metafisica del 
MERCATISMO: fatti per seguire moda, denaro e tornaconto.

Uscire, infine, da questo Grand Hotel Abisso della società più ideologica della storia, in quanto pretende di essere l’unica, la DEFINITIVA.  Assorbe ogni critica purché non si tocchi il suo unico “ethos”, il denaro.

Fuori, allora, lontani dal pensiero calcolante, in cui tutto è merce, anche l’uomo, il suo animo, il suo  corpo, i suoi stessi liquidi biologici.  Tempo della morte di Dio che è anche morte dell’uomo.

Pensiero ribelle al modello dell’eterno presente (“qui e subito”), in cui si sopprime il senso primario dell’esistenza che è tensione al futuro, progettualità, speranza. Stranieri a se stessi, eterni Peter Pan, con il complesso di Edipo e pure di Telemaco. Senza padri, senza figli: senza.

Una civilizzazione dello spettacolo  che riflette se stessa, ma insieme rifrange ed assorbe, e pietrifica in fotogrammi sempre uguali una storia addomesticata  (tutto è cronaca, evento, “news”, compresi gli annunci pubblicitari), in cui la conoscenza è solo strumentale (ciò che “serve” immediatamente) e non critica, giudizio, crescita. E poi coazione all’adattamento, in nome di un fatalista principio destino: TINA. dicono che non c’è alternativa,  TINA “thereis no alternative”, nella neolingua anglo-globale.




NEL MIRINO, IL NEMICO


Non è così’: non è la fine della storia, non si è dissolta l’idea di verità, il deserto può essere attraversato da ribelli pensanti  con nostalgia di futuro. Secondo Bergson, nove errori su dieci consistono nel ritenere vero ciò che non lo è più: a patto di costruire un nuovo modo di pensare, che rimedi agli errori del vecchio.

Dunque, non ritenere più vera la vecchia distinzione destra/sinistra, riconoscere e mettere nel mirino il NEMICO, affrontarlo con linguaggi, idee, proposte. Sul suo terreno. NEMICO: senza sconti od eufemismi, come ci ha insegnato Carl Schmitt.

Ma chi è, il NEMICO? NEMICO è il liberalcapitalismo nella sua versione ultima, la globalizzazione mondialista. Dobbiamo considerarlo NEMICO innanzitutto perché si agisce come tale con noi, persone, comunità, culture, uomini e donne del mondo.

Nel passato abbiamo avuto come nemico il comunismo, ma, sepolta la falce, dismesso il martello, liberalismo e comunismo si rivelano fratelli. Fratelli-coltelli, ma sempre fratelli.
Lo stesso Islam è nemico solo nella sua componente più folle, peraltro alimentata proprio dagli strateghi del liberismo globalizzato, questi dottori Stranamore della guerra (loro) contro tutti.

NEMICO totale è il partito unico della riproduzione neocapitalistica, con unicità di programma-privatizzazione del mondo – e unicità di pensiero (condurre le pecore matte verso il feticcio  “merce”).

NEMICO è l’UNICO, il totale, il capitalismo globale formato da banche, istituzioni finanziarie. Multinazionali più grandi degli Stati, che controllano materie prime, industria, ricerca, commercio, distribuzione, diffusione delle notizie, circolazione delle idee, letteralmente l’aria (inquinata da loro) che respiriamo, l’acqua che beviamo, all’ombra della forza militare dell’esercito americano.

Cuore di tenebra. (Conrad “oh, l’orrore, l’orrore”).

Un liberismo libertario, libertino alimentato dal mito del progresso lineare (dopo è meglio di prima, nuovo è meglio di vecchio). Il mercato è un fine, anzi una condizione naturale, come l’acqua per i pesci, e non un mezzo.

Ciò che atterrisce è la sua illimitatezza, la sua estensione all’infinito senza profondità. Il capitalismo avverte ogni limite come un ostacolo, dunque tende a travolgere tutto, in una distruzione “creatrice” che risveglia gli “spiriti animali”. Inquieta l’idea che non si ritenga il migliore dei mondi possibili, ma l’unico, il DEFINITIVO.

L’uomo che plasma, che abbiamo definito “oeconomicusconsumens”, non può fermarsi, sospinto nella corsa selvaggia verso l’acquisto. Adam Smith (“ Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, che noi ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro rispetto nei confronti del loro stesso interesse.”).




IL MERCATISMO



Unico orizzonte, il mercato, il prezzo unico criterio di valore, il denaro unico obiettivo. Sta qui il carattere totalitario dell’ideologia liberista, la sua struttura distruttrice di ogni legame morale, nazionale, familiare, civico, religioso, “comunitario”. 

Marx, da materialista storico, ne tratteggiò con compiacimento la natura negatrice di ogni orizzonte di trascendenza o di spiritualità. Sbagliava nell’attribuirla alla classe della borghesia e non al capitalismo come tale. Che ha infatti esautorato i vecchi valori borghesi, con una fortissima accelerazione dopo il Sessantotto, ostetrico di un nuovo capitalismo antiborghese, che abolisce il limite, promuove la hybris, l’arroganza, la febbre del dominio ed invera il mito di Prometeo che apre il vaso di Pandora.

Un’ideologia di dominio, che sottomette la scienza alla tecnica, proclamando che tutto ciò che si può  tecnicamente fare, va fatto. Senza limite, purché si possa compravendere. Un sistema che deborda nel soggettivismo più estremo, cinismo, indifferenza morale, mistica dei “diritti” civili, purché compatibili con il consumo.

Anche il corpo non è più nostro, magazzino di pezzi di ricambio, uteri in affitto, sperma venduto. Si abolisce anche il rispetto per i morti – cardine di tutte le culture: eutanasia (muori, tanto non servi più), le ceneri dei defunti disperse in mare o sparate in aria (è la trovata commerciale di un imprenditore funebre astigiano).

E poi, distruzione metodica delle nazioni e delle civiltà, mescolamento delle razze, contaminazione generalizzata,  attacco alla sovranità statale e popolare, costruzione di una rete fittissima di colossi economici e finanziari interconnessi, miseria indotta e predatoria per interi continenti. Il trionfo dell’UNICO, unico pensiero, programma, prospettiva, destino.
Su tutto, incombe la tecnica, “pensiero che non pensa” (Heidegger), che è l’impianto (gestell) della rete di comando e di controllo panottico (CIA, NSA, rete di telecomunicazioni, ma anche Facebook e le card che abbiamo in tasca, attraverso cui forniamo docilmente ogni informazione su noi stessi).

Le sentinelle  sono gli specialisti “senza intelligenza”, ascari di un sistema feroce per supponenza, arroganza, smania di asservire.

Tutto deve essere calcolabile, controllabile, non più dottrina o sapere, ma ricerca finalizzata all’applicazione in vista dello sfruttamento, con una terribile eccedenza dell’avere sull’essere, e nella negazione del conflitto (il pòlemos che è legge di vita). Ma il Mercato regola tutto, ha una mano invisibile, chi perde era il peggiore, non ha saputo giocare alle “naturali” regole monopolistiche, anche per l’istruzione, per l’acqua, i servizi alla persona.

Unica trinità ammessa alla venerazione: Mercato, Efficienza, Progresso. Traduzione: più lavoro, meno diritti, massimo stress, abolizione della memoria, discredito delle idee. Capitalismo – qualcuno enfatizza in capitalesimo – come globalizzazione nel denaro, abolizione di ogni frontiera, cosmopolitismo del profitto, colonizzazione dell’immaginario attraverso i modelli veicolati dai media, che ci espropriano persino del controllo del corpo (eterna giovinezza chirurgica, tatuaggi, depilazioni – body building significa appunto costruzione del corpo, spesso con anabolizzanti o altre schifezze farmacologiche).

Una trinità padrona, padrona totale, anzi monopolista radicale, secondo la felice espressione di Ivan Illich, della surmodernità confortevole, ed ipnotica, in cui la grande bruttezza dei nuovi luoghi si appaia all’IDENTICO dei non-luoghi – stazioni, aeroporti, centri commerciali, in cui si consuma il rito delle transumanze vacanziere o degli acquisti di merci per lo più inutili, in cui il desiderio è rilanciato sempre in avanti, una pallina di un flipper impazzito, generando, tra mode, pubblicità e comportamenti standardizzati, l’indispensabile insoddisfazione di massa.

Una massa che in astratto può tutto, ma concretamente nulla, prigioniera delle leggi esoteriche ma ferree del Mercato, che, come Dio, è in cielo, in terra ed in ogni luogo, giudice onnipotente, onnisciente, e benevolo con chi gli consegna anima, corpo, portafogli.
Ma dov’è il mercato, e chi è, questa grottesca entità? E perché dobbiamo adorare un mezzo? Ricordate le tre I di Berlusconi (Internet, Inglese, Impresa)? Sono solo strumenti, che, se mitizzati, diventano meccanismi di omologazione universale.

Economia di scala nelle imprese: dobbiamo tutti indossare un certo abbigliamento prodotto in Cina, mangiare un determinato cibo trattato con gli OGM – organismi geneticamente modificati – e forse Monsanto diverrà il patrono dei contadini – andare al mare tutto compreso in Egitto con un volo charter, ascoltare la medesima musica rumorosa, ritmata prodotta dalle “majors” con l’aiuto della tecnica, parlare l’identico “slang” da ghetto negro. Per gli intellettuali, gli economisti ed i gruppi dirigenti  c’è la lingua di legno delle definizioni anglofone: jobs act, fiscal compact, eccetera.

Tutto è merce, anche gli esseri umani: questo è totalitarismo, anzi schiavismo !







RIPOLITICIZZARE LE NOSTRE VITE


E’ la notte del mondo: prevalenza dell’1% dell’umanità (alta finanza, banchieri, azionisti e dirigenti delle multinazionali), tutt’al più del 10%, includendo i loro pasciuti servitori politici, mediatici, accademici, intellettuali, sul 90 per cento che siamo noi. Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha ammesso onestamente: una lotta di classe vinta dai ricchi su tutti gli altri.

Un vuoto in cui al disincanto, alla desacralizzazione si unisce la spoliticizzazione.  Dobbiamo RIPOLITICIZZARE il cuore ed il cervello della cosiddetta società aperta, che silenzia, deride, criminalizza, calunnia chiunque sia fuori dal coro assordante del politicamente corretto e non segua il piffero magico della globalizzazione. Il ballo del quàquà in mille tonalità diverse.

Un mondo disumano e capovolto, nel segno dell’alienazione  e del non poter essere se stessi, addirittura vergognandosi dei propri pensieri non conformi. Polizia del pensiero, autocensura.

Un universo della globalità in cui si produce per la (sovrap)produzione, si acquista per accumulare cose, ci si sacrifica ed indebita senza una ragione diversa dal catechismo della cosiddetta crescita e del consumo.
Tempo del fatuo, del provvisorio e dell’intercambiabile, avvolto in se stesso, civilizzazione senza civiltà.

Si dipende dalle cose; l’uomo nuovo liberal-global-mercatista, non è più creatura, ma creatore, ed insieme atomo egoista, singolo, nudo di fronte alla mega macchina che avanza e trita tutto in nome del Denaro e del Mercato.

E’ una corsa verso il nulla di uomini sradicati, ma il radicamento in un luogo, una cultura, una comunità, in un destino condiviso in cui ci si riconosce ed identifica è un’esigenza vitale dello spirito, come sapeva Simone Weil; si è invece preda di un egoismo febbrile, smanioso e possessivo, di milioni di singoli che si riuniscono allo scopo di scambiare merci e generare profitti. Criceti nella ruota, chiusi nella gabbietta.

Questo sembra il destino dell’homo sapiens, smarrito nella cura di sé all’ombra di un potere a cui si può, tutt’al più, leccare la mano. Un uomo che ha bisogno del bisogno, con l’economia come destino, perché è legge di natura, come prescritto da Smith, Ricardo e seguaci.

Ma l’uomo? La natura, l’identità, l’infinito arcobaleno di colori che è in ogni vita ed è forza di ogni comunità e credenza?  Tutto perduto, dissolto:  sciolti da vincoli, illimitati nella tecnica, perplessi cittadini del mondo, schiavi di una piovra gigantesca, massificati, cerchiamo identità “di riserva” nelle merci simbolo di stato, nel nomadismo, nelle novità, nell’alzare l’asticella dei piaceri e delle pulsioni. Un sistema accattivante, per molti luccicante, ma non per questo con sbarre meno robuste del passato.







LE ARMI DEL NEMICO


Detto del NEMICO, identificato senza dubbio, occorre da adesso portare l’attacco al suo cuore, con il suo lessico, perché “dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”, un’altra folgorazione del grande romantico Hoelderlin.

Un potere rigidamente materialista, che disprezza l’uomo, ed ha un progetto di dominio generalizzato attraverso l’azzeramento di tutte le differenze e la riduzione all’identico.
Già la Rivoluzione Francese aveva screditato i valori aristocratici e popolari in nome di quelli borghesi. Il 1968 ha poi rovesciato le credenze borghesi e lanciato il nuovo dogma libertario del vietato vietare. Abbattuto tutto, sulle macerie è stato edificato un mercato. Una rivoluzione, quella del 68, dei figli degeneri della borghesia che, indirizzata, sfruttata, cavalcata dal neo-liberismo, ha sfigurato l’Occidente.

Gli strumenti del nemico, la sovrastruttura di cui si serve, è l’impianto normativo costruito dal positivismo giuridico per affermare il controllo delle tecnologie da parte del vertice economico finanziario, insieme con l’egemonia culturale  per asfissia delle opposizioni. Scopo, l’appropriazione privata del mondo. Il diritto internazionale è riformulato a giustificazione e riproduzione della ragione del più forte, al riparo della retorica incapacitante dei “diritti umani” e delle “riforme”, che significano privatizzazione di tutto, erosione graduale dei diritti sociali e comunitari, abolizione della sovranità popolare, nazionale, statale.

Il nuovo cittadino del mondo è precario, (precario deriva da precor-prego). apolide, anglofono – la sottrazione progressiva della lingua madre è una potente privazione dell’identità –, sprovvisto di una cultura diversa da uno specialismo triviale, grugnisce una lingua di legno, il resto è SMS.

L’Europa, una nonna l’ha definita questo Papa sconcertante, cede senza lottare all’americanizzazione (cibi Mc Donald, ideale dell’avere, meticciato da immigrazione imposta con le menzogne e con dosi industriali di melassa politicamente corretta, nuove feste – Halloween che sostituisce Ognissanti.

Perdere sovranità significa non solo non contare, ma non ESSERE più nulla. Machiavelli individuava la sovranità nel possesso di forze armate e nell’emissione di moneta.

Oggi la moneta è emessa, anzi creata dal nulla, da banche private, le forze armate sono quelle di occupazione delle 106 basi americane in Italia e della già costituita polizia superstatale europea onnipotente, Eurogendfor.

Il tutto è fatto digerire da uno spregevole clero di intellettuali, economisti, uomini di spettacolo, giornalisti, politici, preti (la sottoclasse dominata all’interno della classe dominante, come l’ha definita Costanzo Preve). Un capitalismo, quello egemone, che, a differenza  del suo omologo commerciale di ieri, che agiva sulla domanda, la crea direttamente e possiede l’arma totale dei suoi strumenti transnazionali: Organizzazione Mondiale del Commercio, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, al servizio privato della globalizzazione, organizzata sulla matematizzazione radicale di tutto l’esistente, anche l’immoralità ed il malaffare.

Pensiamo al PIL (Prodotto Interno Lordo), in cui recentemente è stato inserito il calcolo dei proventi di prostituzione, traffico di droga, attività criminali mafiose. La faccia nascosta della luna, ma almeno hanno gettato la maschera: tutto è computabile, purché sia oggetto di scambio monetario.

Delocalizzano le produzioni ed anche le sedi legali delle aziende, distruggono le protezioni sociali che in Europa sono la creazione di grandi conservatori come Bismarck e da corporativisti come Mussolini e Salazar, oltreché la richiesta imperiosa della Chiesa Cattolica della Rerum Novarum(1891).

Non hanno più bisogno di classi medie forti, benestanti e numerose. Per questo dobbiamo difendere dai monopolisti la proprietà, che deve essere diffusa, reticolare, non troppo difficile da acquisire, giacché crea coesione sociale e libertà concreta.

Lo hanno affermato i grandi della tradizione conservatrice come americana come Barry Goldwater e Russell Kirk (fusionismo), lo hanno capito persino teorici “loro” come Von Hajek (chi possiede tutti mezzi, determina tutti i fini). Il mercato deve essere aperto sia in entrata sia in uscita: invece entrano, anzi irrompono solo pochi giganti, che scacciano e gettano sul lastrico tutti gli altri.

E’ una società dell’ESPROPRIO, che gestisce masse di disoccupati cronici come un problema di ordine pubblico, e fabbrica per loro paradisi artificiali e sogni impossibili (alcool, gioco, sballo); commercializza la salute e la trasmissione della vita. Genera instancabile paure sempre nuove – epidemie, terrorismi, nemici esterni, mali assoluti, e poi, con il politicamente corretto, smussa gli angoli, nega i fatti, nasconde, frena, inibisce. 

Intanto, ci ruba l’anima mentre ci sfila il portafogli e ci nega i diritti naturali, con norme e nuove credenze fatte apparire come leggi indiscutibili dettate dal Mercato (maiuscolo, maiuscolo!).

E’ il Mercato che fa l’uomo.  No, l’economia non è una branca della meccanica, neppure una sequenza di equazioni e simboli astrusi, tanto meno è il destino ineluttabile della nostra specie, come ci obbligano a pensare, in un inedito “Ipse dixit”, la corporazione degli economisti, banditori e sacrestani della religione mercatista.  La realtà, tuttavia, ospite fastidiosa, infrange i pronostici, ed altro non resta loro che spostare in avanti le magnifiche sorti e progressive.

Intanto, si ampliano le disuguaglianze intollerabili dell’avere, giustificate dal mito del successo, si diffamano ed azzerano le appartenenze, la famiglia, la Nazione, la religione, lo Stato.

E’ il tempo degli ultimi uomini (Nietzsche) in cui i rapporti sono qualitativamente uguali (la massa consumatrice), quantitativamente diversi (il potere d’acquisto). Vecchia e nuova alienazione: si socializza solo nei rapporti di mercato mediati dal denaro, cellula virale della religione global-capitalista, e si identifica la libertà con lo sfogo di capricci e pulsioni. Plus –godimento e plus-valore…

Il Nemico – il cuore di tenebra – ha potenti strumenti: dalle multinazionali, così grandi e influenti da imporsi sugli Stati (e con l’istituendo Trattato Transatlantico sarà ancora peggio) alle banche d’affari, ai paradisi fiscali, i luoghi in cui si incontrano il denaro criminale e quello sottratto ai popoli attraverso l’inganno del debito e la creazione monetaria. Il Lussemburgo è uno di questi, e non a caso suo ex primo ministro è il mediocre impiegato di concetto dei poteri forti Juncker, ora presidente della Commissione Europea.






LE MENZOGNE DEL NEMICO.  LIBERARSI DEL LIBERISMO.


Per tenerci tranquilli, ci infettano con frasi fatte che invadono i nostri cervelli per diffusione ossessiva da parte di una immensa rete di comunicazione, manipolazione, menzogna.

Vediamone alcune: i mercati sono infallibili, la spesa pubblica è improduttiva e deve essere tagliata, l’euro è una meravigliosa opportunità, viviamo al di sopra dei nostri mezzi, progresso è la crescita dei consumi, i mercati devono organizzare l’allocazione delle risorse, solo le banche possono detenere l’emissione monetaria. Parole, poi, fastidiosi convitato di pietra, vincono i fatti.

La spesa pubblica “improduttiva” è la sanità, la scuola, la ricerca, la previdenza, la sicurezza pubblica, le infrastrutture. Viviamo da anni al di sotto dei nostri mezzi, poiché realizziamo costantemente imponenti avanzi di bilancio. Il resto è DEBITO da pagare. Ma a chi? Ne riparleremo.

Solo l’Europa ci può salvare, ce lo chiede l’Europa, quindi bisogna adeguarsi… a bande di oligarchi cooptati da élites opache e logge varie. Integriamoci nell’Europa, che favorisce la solidarietà. Falso: per tacere delle drammatiche vicende dell’immigrazione, basta ricordare che è stata la Germania a distruggere la manifattura italiana, sua temibile concorrente, ed ad aver affamato Grecia e Portogallo per proteggere il sistema bancario di casa sua.

Altro assioma, o mistero doloroso: il lavoro scarseggia, ma l’immigrazione aumenta. Benissimo, loro ci pagheranno la pensione, loro fanno i lavori che noi non facciamo più (per forza, vorremmo essere pagati e lavorare in sicurezza…) e comunque non è vero che creino criminalità e spese per l’assistenza. Vogliamo rispondere, o ci limitiamo ad un “vaffa”?
 
Un breviario di falsificazioni, censure, rovesciamento della realtà, occultamento delle criticità e dei conflitti.

Su tutto, il più gigantesco degli imbrogli, quello della moneta, la sua creazione ex nihilo dal sistema bancario.

Strano davvero che in un mondo dominato dalla razionalità, in cui si analizza, disseziona, classifica, decostruisce tutto, si taccia sulla natura e la PROPRIETA’ iniziale del danaro. E’ neutro, dicono loro. Invece, lo creano dal nulla, con un artificio contabile, un bip sulla tastiera da parte delle banche centrali – sancta sanctorum del potere globale – istituzioni private e svincolate, per legge internazionale, da ogni controllo politico e contabile. 

Il quadro giuridico l’hanno commissionato loro. Creano il denaro e lo prestano a strozzo agli Stati, nella misura ed al tasso stabilito da loro. Questo è il debito, che, in tutto il mondo, pare sia quarantaquattro volte il PIL. Impagabile, ovviamente, ai suoi inventori. Chi comanda, allora?

L’Italia è in crisi dal 1981, quando un ministro criminale, Andreatta, impose la divisione tra Tesoro pubblico e Bankitalia, che, peraltro, era ancora controllata da banche pubbliche, privatizzate poi negli anni 90 – ministro ancora Andreatta e governatore della banca Ciampi, venerato padre della patria (dei banchieri e dei massoni).




SOVRANITA’


Senza una moneta nostra, come possiamo avere una politica economica? Qui nasce la battaglia più grande di tutte, quella sulla SOVRANITA’, il ritorno dello Stato e dell’INTERESSE NAZIONALE.

La moneta deve scarseggiare, ovvio, la creano loro, e le politiche finanziarie devono essere restrittive: altrettanto chiaro, stringiamo noi! L’Italia butta miliardi per alimentare il MES, Meccanismo Europeo di Solidarietà, un’istituzione simile al FMI che paghiamo adesso affinché ci presti in seguito i nostri stessi soldi a gravose condizioni politiche (!!!!), contrae i salari – ai tempi dei miei genitori con uno stipendio si manteneva una famiglia, adesso si stenta con due – iscrive il pareggio di bilancio nella Costituzione, sublime vergogna cui si è opposta in Parlamento la sola Lega Nord, alcuni deputati  del centrodestra e nessuno della sinistra.

Intanto, mentre il mercante di ieri rischiava denaro suo, il finanziere moderno usa quello altrui, o meglio ancora, quello che non esiste e che lui, miracolo, trasforma in credito SUO e debito nostro, creandolo dal nulla (avete presente il quantitative easing?). Un modello paranoide, con la tecnica del denaro che dirige tutte le altre. E’ dunque imperativo liberarsi del liberismo, ritornare al principio speranza contro il dogma dell’ineluttabile.





DESTRA E SINISTRA. LE GABBIE DEL PASSATO



Ma, tutto quanto detto, è di destra o di sinistra? La realtà è di destra o di sinistra?

Destra e sinistra sono concetti del tutto sorpassati, criteri che hanno descritto stagioni storiche esaurite, quindi oggi fuorvianti, e vanno quindi attraversati, oltrepassati, a meno di non chiedersi, senza l’ironia di Giorgio Gaber, se la vasca da bagno è di destra e la doccia di sinistra.

Norberto Bobbio, il sopravvalutato maestro di pensiero dell’invecchiata sinistra borghese, scrisse che la differenza insuperabile tra destra e sinistra risiede nell’opposto giudizio sull’uguaglianza. 

Questo è in una certa misura vero, ma c’è almeno una diseguaglianza che la destra “morale” non ha amato, ed è quella derivata dal possesso del denaro.

Esiste semmai una distinzione più valida, quella del richiamo alla legge di natura ed al principio di realtà: idee che evocano un ordine dato, superiore e persino trascendente, care alla destra e bestie nere di ogni sinistra.

Ma è facile individuare diverse coppie di opposti attorno ai quali organizzare un sistema di principi, riferimenti, antagonismi: alto/basso; materiale/spirituale; effimero/duraturo; vuoto/radice; ignoranza/conoscenza; precario/stabile; oligarchia/popolo; parassiti/produttori; cosmopolitismo/identità.

Oltre destra  e sinistra anche per un motivo pratico: dei due termini, quello “positivo”, dalla rivoluzione francese che li ha coniati, è sinistra, giacché nasce dall’esaltazione di un totale rovesciamento di prospettiva, che destituiva il Giusto ed il Diritto, innalzando il suo contrario.

Dopo la caduta del comunismo, peraltro, lorsignori hanno incluso nel cerchio del potere e del bene chiunque accettasse il nuovo paradigma della vittoria della liberaldemocrazia come “migliore dei mondi possibili” e unico sistema di relazioni sociali.  Un cerchio non può avere una destra e una sinistra, ha un dentro e un fuori.





LA BATTAGLIA DELLE IDEE


Fuori, dunque, fuori, con i popoli, affrontando senza timore, e ribaltando, le nuove etichette demonizzanti dei “superiori”: razzisti e populisti. Del razzismo presunto rido (è un marchio utile per tutte le stagioni, rancido e senza significato come pochi altri), quello vero lo hanno inventato e praticato i “buoni” anglosassoni, che hanno tratto e commerciato schiavi sino ad un secolo e mezzo fa.

E’ razzista chi ama la sua gente e la sua cultura.  O chi affama imparzialmente tutti?
Populista è una parola bella. Populismo altro non significa che attribuire valore al popolo, e rifiutare di perdere i propri costumi, credenze, usi e modi vivere. Populista è colui che ascolta il suo popolo, ne interpreta gli umori e ne riceve un consenso. E’ una forma mentis, una griglia interpretativa, un GIUDIZIO che porta a reagire in un certo modo ed a pensare che un nuovo problema vada affrontato nel segno, nella specificità e nell’interesse di un certo popolo. Per dirla con un sintagma “colto” tratto da George Herbert Mead (i populisti sono ignoranti per definizione…), il mio popolo è per me “l’altro significativo” e l’”altro generalizzato”.

Il populismo porta una massa a diventare soggetto politico attivo. E’ un male? Non è, invece, disprezzare la saggezza del popolo, negare nei fatti quella democrazia santificata a parole? E se la democrazia è rappresentanza, ma la rappresentanza non c’è più o è manipolata, eterodiretta, c’è ancora democrazia?

Destra e sinistra sono oggi due protesi per ingessare il consenso, addomesticarlo nella tolleranza repressiva di una democrazia sedicente in cui le forze in campo condividono la stessa tavola di valori, perseguono gli stessi fini, rispondono alle medesime centrali. Internazionalismo dei mercati, progresso indefinito, mistica dei diritti soggettivi, economia come “unicum”.

Il sistema che abbiamo  designato NEMICO si riproduce a destra nel denaro e nella privatizzazione del mondo, a sinistra nel relativismo morale e nel libertinismo libertario, e si incontra tranquillamente al centro nello scambio politico e nel trasformismo. 
Alternanza senza alternativa (Jean Paul Michéa).

Nostro compito è quindi riportare il conflitto nell’alveo dei valori del nostro popolo, cioè ritessere i fili sparsi di una comunità. Costruire un nuovo  comunitarismo.









COMUNITARISMO


Un’altra parola equivoca, sembra evocare il comunismo, ma significa, al contrario, situare, configurare, ancorare, radicare l’uomo e la sua vita di relazione  in un orizzonte concreto, la famiglia, la terra natia, la patria, il mestiere, lo Stato, la religione, i costumi, la rete concreta di relazioni personali e sociali. Ri-diventare ciò che si è (Nietzsche).

Le comunità sono unità sociali tendenzialmente compatte, in armonia organica, coscienti delle diversità da integrare progressivamente, ma a partire da un centro etico e da un nucleo di principi comuni. Lo comprese persino il giovane Marx: “Unicamente nella comunità diviene possibile la libertà personale “.

Comunità è diretto esercizio della decisione, assunzione di responsabilità. E’ antitesi dei due poli segretamente complementari di individualismo e collettivismo. E’ il noi cui ci richiama la lezione di Giovanni Gentile, è la libertà praticata dal cittadino greco che delibera personalmente perché nella “polis” è davvero un animale politico, secondo la celeberrima definizione di Aristotele, e sa valutare ogni cosa con equilibrio, idea del limite, giusta proporzione, e possiede il “logos”: ragione, misura, senso comune.

Comunitarismo è anche la ritorno del padre come legge – nomos - il padre, divorato, dissolto dalla modernità, da Freud in poi, ma forse già dalla decapitazione di Re Luigi XVI.

Ad Itaca domina l’assenza di legge perché manca Ulisse, il padre. Ulisse torna, tende l’arco come solo lui riusciva a fare, sconfigge i Proci – il caos – ridà unità e norma allo Stato. Egli, padre del debole Telemaco, è lo Stato.

Comunità, infine, è SOVRANITA’ ed IDENTITA’. L’identità è un problema contemporaneo, prima essa era vissuta come dato naturale, perché ciascuno era inserito in una comunità, e vi rivestiva un ruolo, anche se minimo.






IDEARIO COMUNITARISTA


Proviamo allora ad abbozzare un’agenda “comunitarista”. Innanzitutto, distinguersi. Ci chiamano populisti? Benone, è una qualificazione chiara, vuol dire che siamo diversi e fastidiosi.

Poi, ricominciamo ad utilizzare senza paura alcune parole “nostre”: comunità, Patria, ma anche “normale” al posto di tradizionale. Famiglia normale, non tradizionale quella di uomo e donna aperti alla procreazione, il modello è quello normale, non “tradizionale” parola che tende a screditare. Fuori centro sono gli altri: le parole sono pietre.

Contro il NEMICO usiamo le “sue” parole. Parlano di democrazia h.24. Ma siamo noi a invocarla, pretenderla, questa è parodia, imbroglio, sistema per fregare la gente con il suo consenso. Democrazia della troika di Bruxelles (Banca Centrale, Fondo Monetario, Commissione europea), dei fantomatici mercati, dei banchieri, delle agenzie di rating…

E’ democratico dipendere da costoro, e dall’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) dalla BM (Banca Mondiale) e da non si sa quante altre sigle esoteriche, non poter decidere se l’euro ci piace o no, se siamo d’accordo ad essere comandati da monsieur Juncker e dal bankster Draghi, o se è una bella cosa avere in casa l’esercito americano da 70 anni?

E’ democrazia privatizzare financo l’acqua e lasciare in mani straniere le reti di telecomunicazione, consentire che il destino di industrie strategiche dipenda dalla magistratura (Ilva) o da interessi stranieri (Terni, Fiat, Alitalia)? E’ democratico morire di malasanità, temere mascalzoni multietnici, lasciare invadere il territorio nazionale, vedere occupate la nostre case?

LIBERTA’, ma libertà “di” poter fare, poter essere, pensare, agire.  Basta con leggi liberticide: legge Mancino, omofobia, vilipendio, negazionismo di aspetti della storia, financo di salutare in un dato modo…

SOLIDARIETA’, certo, ma a partire dai propri simili – questa poi è anche la fraternité giacobina! – e poi verso chi lavora onestamente o vorrebbe farlo, verso chi è come noi, nell’animo e nei sentimenti.

Ma anche VERITA’, basta relativismo, il bene è bene, il male è male e va proclamato.

MERCATO, senz’altro, ma anche regole di comportamento, interventi pubblici conformi quando serve, proprietà estesa, confronto, concorrenza tra molti, non distruzione scientifica ed espulsione dal mercato dei più ad opera di pochi giganti.

STATO, sì, ancora Stato. Italia, Stato nazionale, meglio se presidenziale e federale, perché è il luogo della sovranità.

COSTITUZIONE: riprendiamocela, poiché è stata abolita di fonte di fronte al potere della finanza ed alla prevalenza del diritto comunitario, fatto di migliaia di regolamenti non ratificati da alcun organo elettivo. La Costituzione va ripristinata affinché garantisca il risparmio, tuteli la piccola e media proprietà, imponga la partecipazione azionaria e la cogestione delle imprese,  il fisco lasci in pace noi e colpisca le grandi “persone giuridiche” e le fondazioni; ritorni in vigore la libertà di pensiero, e la sovranità sia restituita  al popolo italiano che ne è il solo titolare.

SOVRANITA’ monetaria, perché possiamo essere i banchieri di noi stessi, e la moneta si accetta per fiducia ed aspettativa di futuro. Il futuro siamo noi, non i criminali in grisaglia detti pomposamente “autorità monetarie” ed i loro sguatteri politici.

SOVRANITA’ militare, poiché il mondo si regge sui rapporti di forza, SOVRANITA’ territoriale, siamo l’unico Paese che paga per essere invaso dai barconi e che tratta i clandestini meglio dei suoi disoccupati e pensionati.
 
SOVRANITA’ alimentare: se mangiamo del nostro, facciamo rabbia alla globalizzazione e miglioriamo l’ambiente. 

SOVRANITA’ economica, le leggi di spesa e la politica industriale la dobbiamo decidere noi, altro che usurai e ragionieri di Bruxelles.
E poi, attenzione alle idee nuove che circolano ai margini e fuori dal potere: la decrescita, che non significa povertà, ma lotta agli sprechi, riuso di scorie e residui, non pensare più in termini esclusivi di consumo, inventare nuovi usi per vecchi prodotti.

COMUNITARISMO, perché abbiamo bisogno di convivialità, stare insieme, scambiare vita e beni non economici e non monetari, ritrovare un modello “vernacolare”, rilocalizzato nei saperi e nelle culture materiali tramandate, che sa bastare a se stesso, produrre e riprodurre valori, conoscenze, modi di vita.

COMUNITARISMO è anche ecologia, ovvero conservazione, trasmissione (tradizione…) del Creato. Non si può correre all’infinito, “crescere” in merci senza un termine, se il globo è finito.

E naturalmente, IDENTITA’, noi siamo noi e non altri, nel dialogo e nell’apertura al mondo, ma basta con individui smarriti, nudi proprietari di se stessi, che non sanno più che fare della vita e della emancipazione da tutto.

Una comunità accogliente, ma a partire da NOI, dalle nostre appartenenze, che sono la lingua dei significati. Siamo padri, figli, lavoratori, cittadini, intellettuali, studenti, lavapiatti, artisti, ma dentro un senso comune, all’interno di una storia. Contrario dell’identità non è la differenza, ma l’omologazione, l’uguale, l’indifferente: ci assomigliamo tutti, perché siamo diversi.

Diventiamo, come comunità di idee, meno chiusi in noi stessi, accettiamo di percorrere tratti di strada con culture altre, che condividono però frammenti di idee, di valori, di interessi. Dopo le ideologie, oltre destra e sinistra, conta dove andiamo e che cosa vogliamo, non come eravamo.

Termino con un pensiero di Alasdair Mc Intyre, esponente del pensiero comunitarista. ”La persona è un essere narrante. La storia della mia vita è sempre inserita nella storia di quelle comunità da cui traggo la mia identità. Il che significa, che mi piaccia o no, che ne sia consapevole o no, che sono parte di una tradizione.” Siamo sempre figli di qualcuno. E se siamo figli, siamo anche eredi. (San Paolo – Lettera ai Romani).

“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi, se restiamo schiavi (W. Shakespeare – Giulio Cesare).





di: ROBERTO PECCHIOLI



fonte articolo: ereticamente.net

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