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martedì 1 dicembre 2015

In Grecia per la fame le donne sono costrette a prostituirsi






 
Di: Patrizia Grilli 

Gli accadimenti tragici di questi giorni stanno concentrando l’attenzione pubblica sul terrorismo e la sua lotta in Siria. La reazione politica è di quasi totale sostegno verso le Francia colpita duramente nel suo cuore. Solidarietá e comprensione giusta e necessaria. Spaventa, invece, il totale abbandono in cui versa una nazione, membro dell’Unione Europea, dimenticata dopo un lungo periodo di riflettori puntati. 


Stiamo parlando della Grecia, che rimarrá nella storia come simbolo della più colossale sciocchezza detta dal senatore Mario Monti: il più grande successo dell’euro ( per gli usurai internazionali suoi padroni lo è sicuramente NDR)

Quella che lo stesso senatore ha ribadito, poco tempo fa, essere un successo perchè ha scelto, malgrado tutto, di rimanere in eurozona dimostrandone dedizione.


Bene, tra le poche e mai belle notizie che trapelano da quella che una volta era la culla della civiltà, ci colpisce duramente questa “The study, which compiled data on more than 17,000 sex workers operating in Greece”

Avete letto bene, i sette anni di crisi profonda portano fame. E la fame fa fare di tutto, anche prostituirsi per un panino. Giovani donne si vendono per pochi spicci portando la Grecia in cima alla classifica della prostituzione europea. Se non per un panino, madri di famiglia lo fanno per pagare le bollette. 

Di queste donne nessuno ha parlato durante la giornata mondiale contro la violenza sulle donne ( perchè, sia chiaro, se loro si offrono per necessità, c’è chi compra a buon prezzo) Per queste donne la nostra Donna Prassede Boldrini non risulta abbia mai speso una parola. 

  Laura Boldrini


L’essere comunitarie forse le penalizza? Quando la Presidenta elargisce moniti sulla necessità di avere più Europa, parla di questa dove una nazione sovrana non è più in grado di tutelare la vita dei suoi cittadini?

Fame, signori, qui si parla di fame!! Non di banche da salvare, conti correnti, multinazionali. Semplicemente di fame.



 La ressa durante una distribuzione gratuita di frutta e verdura ad Atene, il 15 maggio 2013
 

I Greci stanno perdendo tutto: la sanità pubblica, il lavoro, la casa, la dignità, alcuni anche la vita. Comprenderete che, quando veniamo accomunati al loro triste destino, dovremmo fermarci a riflettere, a documentarci e a dire: no, ora basta!

 
Fonte: www.qelsi.it






La crisi economica, l’eroina, l’Aids: il caso Grecia


La ripercussione della crisi Greca sul tessuto sociale sta rivelando un aspetto preoccupante di tipo sanitario. I tagli al bilancio si sono tradotti in tagli anche alla sanità (in Grecia in maniera ancora più pesante della media europea), e questo ha comportato tra l’altro un corto-circuito esplosivo per i problemi droga-correlati.
 
L’appetibilità di una sostanza stupefacente in un tessuto sociale dipende in maniera non lineare dal reddito. In altre parole, le stesse sostanze possono trovare spazio sia dove ci sono soldi che dove c’è povertà, la cosa importante è tenere compartimentati i due mercati, nell’ottica di chi vende. I ricchi consumano tanti soldi, i poveri il poco che hanno.




Il propellente per creare una “domanda” di droga è, almeno secondo un’ipotesi, sarebbe il divario che si crea tra l’aspettativa di benessere raggiungibile e l’effettiva capacità di raggiungerlo. In altre parole, una società che si sogna ricca mentre si sta impoverendo ha un grado di frustrazione maggiore rispetto ad una società povera abituata a che punta alla sufficienza. La droga è una merce senza costo vivo, che ha il potere di creare una domanda laddove è introdotta, spolpando i ricchi del tanto e i poveri del poco. Se poi il tessuto sociale genera bisogno di “provarla” e di tenersi su in tempi di frustrazione economica (che è diversa dal semplice concetto di povertà).

I tossicodipendenti sono un “bacino” esplosivo per quanto riguarda le malattie infettive. Non perché amino correre rischi, semplicemente perché hanno perso la capacità di fermarsi di fronte ai rischi, e quindi li corrono nella misura in la voglia di farsi è “accesa”. Se un tossicodipendente ha voglia di farsi, tra una siringa usata, o sporca, e una farmacia a un chilometro di distanza sceglie quasi sicuramente la siringa a rischio. Se un tossicodipendente ha la possibilità di procurarsi soldi con un rapporto sessuale scoperto, oppure anche più soldi ma aspettando il giorno dopo, quasi sicuramente sceglierà il rapporto a rischio.

Quando i tossicodipendenti invece sono in cura, evidentemente smettendo di drogarsi smettono anche di correre quei rischi. Ma la cosa interessante è cosa succede a quelli che non smettono di drogarsi nonostante il trattamento, oppure nelle prime fasi del trattamento: queste persone continuano la pratica del buco ma cominciano a usare siringhe sterili. Continuanno a prestare ai compagni “di buco” le loro siringhe usate, ma non usano invece loro quelle dei compagni.





Meno soldi, meno trattamenti. Si formano le liste da attesa: da noi non esistono, tutti accedono alle cure, magari di qualità irregolare e mediamente discutibile, ma non c’è attesa.
Ultimo baluardo contro le infezioni “da scambio di sangue” e da rapporti non protetti sarebbero siringhe e preservativi distribuiti “sul posto”, mediante unità mobili o macchinette scambiatrici. I tagli hanno limitato anche questo.

Dare una montagna di siringhe (l’OMS raccomanda 200 all’anno) a un tossicodipendente non lo fa bucare di più, il tossicodipendente è già al tetto massimo della sua capacità materiale di bucarsi. Lo fa bucare in maniera meno rischiosa (per la comunità e per sé). Dargliene di meno, secondo il principio che la voglia crea il rischio, apre le porte alla diffusione delle infezioni.

La bandierina nera per la diffusione dell’HIV tra i paesi sviluppati, e in particolare per le natalità HIV+, fino ad oggi è russa. La ragione è l’assenza, o eccezionalità, dei trattamenti per la dipendenza da narcotici. Per le altre Nazioni è un problema di sanità pubblica. 

L’imposizione di tagli alla spesa sanitaria è di dubbio significato pratico, considerando che in questo modo di produce un debito causato dai costi sanitari indotti. Che senso ha risparmiare sulle siringhe e sui flaconi di metadone per poi spendere nella cura delle infezioni, HIV in testa ? Per il sistema bancario sovranazionale probabilmente nessun senso, infatti la soluzione par che sia un debito da pagare con la decimazione della propria popolazione. Del resto, se su questo prospera un mercato come quello dei narcotici, seppur formalmente illegale, i soldi attraverso qualche canale nelle banche rischiano di rientrare.
In controtendenza con il resto dell’Europa, il tasso di HIV in Grecia è in aumento. 

E il numero di tossicodipendenti anche, ma questo avviene in molti Paesi. L’effetto deflagrante di una sanità che fa acqua a fronte di un fenomeno che non è mai stato (neanche da noi) in calo è prevedibilissimo: negli anni fine ’80-90 si è registrato un rapporto chiaro tra diffusione dell’HIV e introduzione nei sistemi sanitari pubblici di cure metadoniche. Dove aumentavano le cure per i tossicomani, si formava uno “schermo” anti-HIV. Chi abbandonava le cure ritornava invece al rischio di partenza.




Per quanto concerne i flussi migratori che passano dalla Grecia, è corretto temere che in questa situazione vi sia un doppio effetto epidemico. Da un lato infezioni che “rientrano” (la tubercolosi, che tra i tossicodipendenti si diffonde facilmente), dall’altro un mercato di narcotici a basso costo in cui i poveri ingresso possono immischiarsi sia come spacciatori che come consumatori.


di: Matteo Pacini


fonte: ilprimatonazionale.it










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